giovedì 5 agosto 2010

Così dolce




E' un racconto scritto di getto e forse troppo scomodo per essere pubblicato, quindo lo inserisco nel mio blog, aspettando le vostre opinioni sull'argomento.
Un caro saluto.

Fabrizio.


Non voleva essere nervosa.
Si impegnava duramente per non far trasparire nulla.
Pensava che avrebbe rovinato tutto, se si fosse mostrata tesa come in effetti era.
Aveva nascosto le mani sudate dietro la schiena: per quanto le sfregasse contro la maglietta continuava a sentirle umide e scivolose.
Le labbra vibravano come una corda di chitarra leggermente pizzicata ed anche se non poteva vederle era certa che fossero bianche di paura.
Aveva stretto le gambe perché sentiva una strana sensazione nel mezzo: un pizzicore come se stesse per fare la pipì ma in fondo non era la stessa cosa.
Era più intensa e anche più piacevole: ogni tanto un fugace brivido la scuoteva ed esaltava quella sensazione così intima … ma aumentava anche la tensione.
Lui la trovava dolce e buffa; impalata davanti a lui, intenta a contemplare la sua nudità non nascondendo un pesante imbarazzo, mischiato ad una sincera attrazione per quello che stava guardando. Lui la guardava continuando a disarmarla.
La fissava intensamente con quegli occhi profondi e dalla luce interiore così brillante.
Claudia si perdeva negli occhi di lui e restava ipnotizzata dal sorriso rassicurante che le rivolgeva: gli ricordava Raoul Bova anche se aveva qualche anno in più. La sensazione, più che altro...la stessa sensazione nel vederlo era quella che provava quando contemplava il poster gigante del suo attore preferito, ben affisso nella camera da letto.
Fece un passo indietro quando lui avanzò verso di lei e tese la mano per lisciarle i capelli; indietreggiò in parte per la paura ma anche istintivamente: c’era ancora una parte convinta che tutto fosse solo un enorme sbaglio e che la loro differenza d’età fosse troppo alta. Ma lui continuava a sorridere mentre la sua mano scendeva lungo la chioma castana e proseguiva sul collo, proseguendo ed indugiando infine sul seno acerbo ed appena accennato ma già sodo e promettente; le sue dita esperte si erano soffermate sui capezzoli, tastando la loro durezza, mentre Claudia continuava a guardarlo, non trascurando di lanciare qualche occhiata furtiva e preoccupata alla porta dietro di loro: lui l’aveva chiusa a chiave subito dopo averla fatta entrare, lo ricordava bene. Non li avrebbe disturbati nessuno e poi era troppo presto perché potesse arrivare qualcuno.
Le piaceva sentire quell’emozione scorrere nelle sue vene: il rischio di essere scoperti, il passo che si accingeva a compiere, il sentimento che provava verso di lui.
Tutto era come voleva, era perfetto.
L’aveva tranquillizzata, facendo il possibile per far sparire la tensione che l’assillava. Era così dolce mentre la spogliava e l’adagiava sul divano, iniziando a baciarle le spalle e le guance rosse di vergogna.
L’ammirava sdraiata mentre lei aveva posato gli occhi sulla sua durezza che aumentava quando le dita toccavano l’intimità ancora inviolata.
Fece una smorfia di dolore quando le entrò dentro ma si trattenne dal lamentarsi per non rovinare tutto: era ancora tesa ma voleva essere all’altezza della situazione e sentirsi finalmente una donna; era preparata al dolore. Aveva sentito che la prima volta faceva sempre un po’ male.
Solo per qualche momento, poi si accorse che il bruciore era scomparso per far posto ad uno strano formicolio lungo tutto il corpo; lo sentiva muoversi dentro di lei e lo vedeva sudare e concentrarsi per darle piacere: gli occhi erano gonfi di passione, adesso.
Non assomigliava più a Raoul Bova e questo fatto le dava un po’ fastidio.
Cercò di lasciarsi andare ma non era facile: le tante immagini appese al soffitto incrociavano il suo sguardo di nuova adolescente e sembravano quasi giudicarla male: tanti severi sguardi di ammonizione puntati sulla sua testa, mentre lui continuava ad entrare ed uscire ritmicamente e con più forza; aveva già rotto la sua verginità e sembrava sentirsi potente ed orgoglioso del traguardo raggiunto.
Sembrò sorridere alla vista del sangue che colava sull’inguine, solo che era strano; era un sorriso al quale Claudia non era abituata e per quanto fosse marcato sulle sue labbra non le comunicava alcuna serenità, anzi.
Lo sentiva e lo vedeva cambiare rapidamente: la voce che continuava a gridarle che tutto fosse un tragico errore aveva alzato smisuratamente la voce e prima che se ne potesse rendere conto, l’idea di romanticismo e dolcezza era svanita di colpo, lasciandola con la pesante idea che ogni dettaglio all’interno di quella stanza avesse perso ogni connotazione positiva e avesse acquisito una disgustosa patina di sporco e di amoralità.
Credeva di provare amore, credeva che la sua prima volta sarebbe stata indimenticabile e su questo avrebbe avuto ragione anche se non nel senso che avrebbe voluto.
Credeva che lui avrebbe compreso la sua ragionevole ritrosia, il suo desiderio di smettere; era certa che, se glielo avesse chiesto gentilmente, lui l’avrebbe accontentata: si sarebbe alzato, l’avrebbe fatta rivestire e l’avrebbe riaccompagnata a casa.
Pensava che sarebbe stato gentile anche questa volta, come aveva sempre fatto e che l’avrebbe ascoltata come faceva per ore quando si incontravano dopo la lezione; l’avrebbe compresa anche questa volta e avrebbe accettato la sua scelta di rimanere amici, nonostante tutto.
Invece, l’uomo dolce e comprensivo se n’era andato da quella stanza, senza avvisarla e senza alcun motivo. Inaspettatamente.
Iniziava ad avere paura mentre gli occhi si sbarravano sul volto crudelmente estasiato di quell’individuo ora sconosciuto che la teneva stretta per le braccia e che, forse sentendo la sua crescente repulsione, aveva pensato bene di impedirle di andarsene.
Voleva la sua ricompensa: voleva terminare ciò che stava facendo, anche contro la sua volontà. Non aveva sprecato tutta la sua dolcezza solo per essere respinto proprio sul più bello.
Raoul Bova se n’era andato e così anche la sensazione di piacevole torpore che le correva lungo la schiena e che massaggiava delicatamente la sua mente fino ad un attimo prima.
Continuava a tenerla stretta, stringendo di più la presa, facendole male alle braccia, mentre spingeva sempre più forte e convulsamente.
Come se le avesse letto nel pensiero, le intimò di non gridare o se ne sarebbe pentita.
Vide gli occhi che coadiuvavano le sue parole e dai quali emergeva solo un vortice di odio e perversa lussuria, tutta sparata contro di lei come un colpo di cannone.
Decise di non gridare anche se aveva paura, anche se le stava facendo molto male: un fuoco avido divampava in mezzo alle gambe e le bruciava da morire, mentre provava disgusto per le gocce di sudore puzzolente che cadevano dalla fronte di lui e si schiantavano sui suoi piccoli seni lisci. Ansimava pesantemente mentre cercava di spingersi più in dentro che poteva: ogni colpo era più forte e più profondo e faceva tanto male.
Sembrava volesse distruggerla, sembrava volesse divorarla e sputarla senza alcun rispetto.
Chi era quell’uomo? Perché quel mostro era apparso all’improvviso e l’aveva imprigionata nella sua bestialità?
Basta, basta!
Glielo urlava sempre più forte con la voce della sua mente ma lui non la sentiva o semplicemente non voleva ascoltarla.
Basta! Basta, ti prego!
Il mostro non diceva basta, invece! Continuava a farle male, a cingerle le braccia, a premerle quasi fino a schiacciarle. Le sentiva indolenzite e formicolanti.
Claudia chiuse gli occhi e serrò la bocca quando lui vi premette le labbra contro alla ricerca di un bacio di fuoco e della sua lingua che trovava così morbida e sensuale.
Il suo rifiuto non gli piacque e così arrivò il primo ceffone.
La guancia parve esplodere ma il bruciore del colpo era nulla in confronto a quello che sentiva laggiù.
La picchiò ancora. Altre due sberle prima che si decidesse ad aprire la bocca e far entrare la sua lingua viscida a muoversi dentro, a batterle nel palato come una biscia posseduta.
Non poteva muoversi né protestare.
Piangeva silenziosamente ed emetteva qualche singhiozzo: ormai aveva deciso di abbandonare ogni difesa, ogni tentativo di resistere alla sua furia, che comunque sarebbe stato vano e le avrebbe procurato solo altro dolore ed altre botte.
Le zampe del mostro decisero di ridare respiro alle braccia ormai addormentate della vittima ma solo per serrarsi, con orrore, attorno al suo collo: aprì gli occhi e li strabuzzò davanti alla belva che sbavava sopra di lei.
L’avrebbe uccisa?
Eppure era così dolce, così comprensivo.
Pensò che fosse colpa sua: che era stata lei ad averlo trasformato. Che fosse stata il suo imbarazzo la causa di tutto. Pensò che, dopotutto, non era stata all’altezza. Non era la donna che lui voleva e questo l’aveva fatto arrabbiare. L’aveva fatto infuriare.
Il respiro si faceva difficoltoso e le immagini delle icone continuavano a guardarla ed a sgridarla pesantemente, prospettando solo la dannazione per la sua anima, per quello che stava facendo. Accese una debole speranza nel suo cuore: che tutto finisse presto. Che fosse solo un brutto sogno e che si sarebbe svegliata senza alcun brutto ricordo.
Ma non fu veloce né finì presto.
Non come sperava.
Durò sempre troppo a lungo e solo quando sentì il suo membro irrigidirsi ed una repentina vampata di calore scuotere il suo interno, capì che era finita; si sentì sollevata.
Pianse ancora mentre la stretta attorno al collo si spense e il volto di lui si distese, soddisfatto di aver raccolto un altro trofeo.
Si tolse bruscamente strappandole un gemito e si alzò.
Claudia non aveva mai provato tanto dolore, sia dentro che fuori: anche le lacrime bruciavano sui lividi degli schiaffi ma si sentiva fortunata ad essere ancora viva.
Credeva ancora che potesse essere solo un brutto sogno ma l’odore del sudore di lui ed il senso di sporco e violenza non volevano abbandonarla e insistevano a ricordarle quanto tutto fosse reale.
Lo vide rimettersi la tonaca e riaprire la porta della sacrestia.
La guardò con disprezzo mentre la intimava di non raccontare niente a nessuno perché nessuno le avrebbe creduto, poi la spinse fuori dalla porta e dalla chiesa, lasciandola sola in mezzo alla strada, tempestata dalla pioggia che iniziava a scendere abbondantemente.
Camminò lentamente verso casa, tenendo le mani premute contro il ricordo della sua innocenza, preoccupata per il sangue che ancora scendeva a colorare i pantaloncini. Il freddo e la pioggia davano un po’ di sollievo al bruciore e sembravano lavare via il senso di vergogna, ma solo dal suo corpo.
Mentre barcollava pensando a quale storia inventare, mentre l’emorragia si aggravava, il suo sguardo traumatizzato e deluso era il medesimo di quello che aveva visto stampato sui volti di tante coetanee (Ed anche di alcune più giovani) durante la messa della Domenica: ora comprendeva quello sguardo vuoto e smarrito ed il senso di angoscia che traspariva dai loro occhi tristi. Avrebbe accompagnato anche lei, seppur per poco tempo.
L’avrebbe accompagnato fin dentro il suo letto, fino a quando non si sarebbe addormentata per l’ultima volta.
Avrebbe portato con sé quel tremendo segreto. L’emorragia l’avrebbe assopita per sempre senza darle la forza di raccontare quello che era stata costretta a vivere, senza l’opportunità di dire alla sua famiglia che le dispiaceva per essere stata talmente ingenua, per aver creduto in un amore falso e bugiardo. Le sarebbe mancato lo sguardo rassicurante di Raoul.
Nessuno avrebbe capito. In tanti avrebbero sofferto dell’enorme vuoto che avrebbe lasciato ed il mostro avrebbe continuato a corrompere e distruggere le innocenze di tante bambine ancora a lungo, protetto dalla sua veste e dalla sacralità del suo incarico, contribuendo a consolare le famiglie di chi aveva distrutto per sempre.
E mentre gli angeli accoglievano nella loro pace una figlia sfortunata e si stringevano attorno a lei per confortarla, il Diavolo aveva ottenuto ancora una squallida vittoria, celandosi dietro ad una facciata di misericordia e perbenismo fin troppo tollerato.
Fin troppo ignorato. Fin troppo diffuso.

FINE

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